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venerdì 21 giugno 2013

Doppia cifra!



Avete presente quando giocate tra amici, quando eleggete due capitani, i quali dopo sorteggio iniziano a scegliere i giocatori per formare la squadra? Avete presente quando uno dei capitano eletti è particolarmente stupido e chiama i giocatori per amicizia? Succede così che dopo quaranta secondi di partita il risultato sia 6-0 e uno dei giocatori dice la fatidica frase "sono squilibrate, mischiamo le squadre". Può capitare lo dica uno di quelli che sta perdendo - perché si è rotto i coglioni di perdere - o uno di quelli che sta vincendo - perché non si sta divertendo da matti.

La stessa identica frase, "sono squilibrate, mischiamo le squadre", devono averla pensata anche i protagonisti di Spagna - Tahiti. Gli oceanici hanno perso la partita inaugurale 6-1 contro la Nigeria, mentre gli iberici non hanno idea di cosa voglia dire perdere, quantomeno i ricordi di una sconfitta sono sbiaditi e confusi.
Troppo il divario tecnico tra le squadre. Inoltre fare il fuorigioco a centrocampo non si è rivelata una grande mossa, visto che loro, quelli rossi, corrono per professione mentre gli altri, quelli bianchi, corrono per divertimento, dopo il lavoro e se la moglie li manda. Ieri i bianchi hanno giocato la classica partita di calcetto del giovedì, quella organizzata per evadere e passare un paio d'ore spensierati.

La sensazione è che, nonostante tutto, i tahitiani si siano divertiti davvero, eppure partite come queste riaprono l'annosa questione "è meglio fermarsi o giocare fino alla fine per rispettare l'avversario?". Il dibattito si apre sempre e tutti hanno la propria idea in merito. Secondo me non c'è niente di peggio di vedere i tuoi avversari non giocare, stare fermi. Quella è un'umiliazione grave, prenderne dieci in confronto è motivo di vanto. Preferirei tornare a casa e dire "ne abbiamo preso dieci dalla Spagna, quelli però erano di un altro pianeta, hanno vinto tutto" piuttosto che dire "ne abbiamo preso quattro dopo venti minuti, poi però che palle. Non c'era proprio divertimento". Non so se quello che sto per scrivere sia giusto o siano solo deliri di egocentrismo, ma penso che anche tutti i giocatori di Tahiti la pensino come me. Me lo fa credere l'esultanza del portiere dopo il rigore sbagliato da Torres (sbagliato, tirato fuori. Il portiere poteva anche non esserci e Torres comunque l'avrebbe sbagliato). Me lo fa credere la stretta di mano dei Tahitiani agli spagnoli a fine partita. Me lo fanno credere le dichiarazioni del capitano prima della partita, il quale disse "speriamo di prenderne meno di sei". Ecco, anche loro sapevano cosa stessero andando a fare.

Secondo me Tahiti in Brasile non ci doveva proprio andare. Una squadra che per partecipare alla Confederations Cup deve riuscire nell'impresa di sconfiggere Nuova Caledonia in finale di coppa delle nazioni oceaniane, una coppa che per qualunque Paese europeo è più difficile da pronunciare che da vincere, (tra l'altro vincendo 1-0, quindi partita sofferta e tirata) non può che andare in Brasile a fare da bersaglio facile. Se poi la metti nello stesso girone della squadra più forte della storia 10-0 è anche un lusso. L'idea, tutta mia, è che si dovrebbe fare prima uno spareggio tra la squadra che vince la coppa d'Oceania e la seconda classificata alla coppa Sudamericana, o all'Europeo. Almeno per garantire un minimo di competitività alla Confederations. Già non se la incula nessuno di suo, se poi ci mettiamo pupazzi è la morte.

venerdì 18 gennaio 2013

La Serie A ha già tanti problemi anche senza far giocare Jonathan.


Un tempo la Serie A era patria dei migliori terzini del mondo. In Italia, tra gli altri, sono transitati Roberto Carlos (il migliore di sempre in quel ruolo), Maicon, Cafù, Brehme. Adesso la loro eredità è raccolta da Jonathan.
A parte il gol clamoroso sbagliato contro l’Udinese (Milito nel suo periodo nero ne ha sbagliato di molto simili e Jonathan non ha quel compito), viene da chiedersi chi si scopa per giocare pianta stabile in Serie A.
Non marca (vedi il gol di Gabbiadini in Inter - Bologna Coppa Italia), non fa un cross decente neanche col tutorial, non stoppa le palle difficili (e anche su quelle facili non è che i compagni mettano la mano sul fuoco).
Contro il Pescara si è detto di lui: “la prestazione più convincente da quando è in Italia”. Convincerei anche io se giocassi difensore contro una squadra che in attacco ha il formidabile duo Jonathas - Abbruscato e che non sa bene neanche come sia fatto Handanovic visto che non sono entrati in area mezza volta.
“Magari è giovane, una promessa”. A parte che i giovani vanno fatti giocare perché forti, non perché giovani. E poi ha 27 anni. E’ nel pieno della maturazione professionale. Immaginatelo a 21 quando esordì nel campionato brasiliano.
Stramaccioni, toglilo. Metti sempre la difesa a 3, metti Zanetti terzino, metti anche Palacio terzino, piuttosto. Ma levalo dal campo: sta inzozzando quello che fino a 10 anni fa era il campionato più bello del mondo.

martedì 11 dicembre 2012

Una squadra che sanno tutti quanti cosa fare

Conte è tornato dalla squalifica. Avrei voluto scrivere un post che mi avrebbe fatto odiare dalla maggior parte degli Juventini miei fan (Ciao Lu). Avrei scritto di quanto inappropriati fossero i toni festanti usati, di quanto stupida sia stata la scelta della Conte Cam, di quanto banali e ridicoli fossero stati alcuni giochi di parole, da Conte alla rovescia a Con te - Conte. Avrei anche detto che non importa se sia stata un ingiustizia, una persecuzione, una squalifica contro ogni logica o buon senso, il modo in cui è stato trattato domenica resta una schifezza tutta italiana. Avrei voluto.

Avrei anche usato il sarcasmo, l'ironia e altre figure retoriche. E mi piace pensare che, con impegno assoluto e dedizione, avrei scritto qualcosa di veramente bello. Poi ho letto quello che ha scritto Andrea Scanzi sul FattoQuotidiano e ho capito che, per quanto bello potesse essere il mio pezzo, per quanto appassionante, articolato, caustico e irriverente potessi farlo, non avrei mai partorito un pezzo del genere. Quindi, un po' per pigrizia un po' profonda ammirazione, ho deciso di riportare il suo pezzo.


Orsù facciam festa, l’Eroe è tornato. Uscito – alfine – vincente da errori giudiziari, storture mediatiche e vili macchine del fango. Rai, Mediaset, Sky: tutti entusiasti. Antonio Conte, domenica, ha sparso il Verbo ai fedeli accorsi. “Questa esperienza mi ha fortificato”; “Ho provato dolore”; “Vado avanti a testa alta, non mi devo nascondere da nessuno”. Il lessico del martire consumato, del Silvio Pellico che avrebbe voluto scrivere Le mie prigioni, ma in mancanza di eloquio consono (“Questa è una squadra che sanno tutti quanti cosa fare”) si è accontentato di regalare una conferenza stampa tragicomica a Youtube.
Era stato assente quattro mesi, crivellato dalla più bieca strumentazione giustizialista. I media, commossi, lo hanno abbracciato. Con deferenza, con commozione. Per lui si sono mobilitati i migliori prestigiatori di parole (“Alla Juve i sorrisi continueranno, anzi conte-nueranno”, SkyTg24). A lui sono state regalate soggettive emozionanti, con la Conte Cam che ne restituiva gesti e mimica, indugiando sul cappellino che – con affettuosa misericordia – nascondeva la vaga irresolutezza tricologica del Prescelto. “La telecamera che gli hanno incollato addosso (..) ci ha dato un verdetto assolutamente confortante: Antonio Conte è lo stesso di qualche mese fa”, rassicurava ieri Repubblica. Meno male: se questi mesi di Golgota e flagelli lo avessero anche solo minimamente scalfito, non ce lo saremmo perdonati . Invece, durante il triste confino, Conte ha perfino cementato l’autoironia, su cui fino a ieri – a giudicare dalle querele o dalle reazioni quando si osa zimbellarne il dorato crine – pareva difettare: “Crozza mi dovrebbe pagare una cena, la sua popolarità è cresciuta. La cosa che mi fa arrabbiare di più è sentire mia moglie che imita Crozza che fa me”. E tutti a scompisciarsi. 
Se un alieno si fosse disgraziatamente (per l’alieno) imbattuto nella tivù italiana di domenica pomeriggio, avrebbe immaginato che Antonio Conte fosse appena scampato a un attentato; che avesse attraversato a piedi il deserto del Gobi; che fosse stato rilasciato dopo un lungo sequestro, o anche solo un sequestrino à la Spinaus. Da qui gli osanna trasversali. Nella realtà, che agli alieni interessa (agli umani non sempre), Conte era stato assente – dalle panchine di calcio, non dal mondo libero – perché condannato a 10 mesi (poi scontati a 4) per omessa denuncia. E sempre Conte rischia un nuovo deferimento per Salernitana-Bari del maggio 2009, quando – secondo gli inquirenti – lo spogliatoio dei pugliesi (allenati da Conte) vendette quasi all’unanimità la partita. Ovviamente tutto accadeva senza che lui sospettasse nulla, contrariamente alla nomea di tecnico vincente cui nulla sfugge. Si potrebbe riscontrare, in tali celebrazioni garantiste, qualcosa di eticamente discutibile. Sarebbe un errore. Un eccesso di ingenuo stupore.
Conte merita eccome tali attenzioni, e non solo per la nota deriva dei “giudici tifosi”. Egli è la quintessenza del condannato (di lusso; quelli sconosciuti non hanno claque eguali) che piace ai media. L’emblema di colui che, se anche sbaglia (ed è tutto da dimostrare), lo fa a sua insaputa (e meglio di Scajola). Conte è il complottista che resiste, il caso giudiziario che merita solidarietà a prescindere (anche da Giancarlo Abete, sublime Presidente Figc). Conte non è un’anomalia italiana, realtà iperuranica che crede ancora nel ritorno eterno di Berlusconi: ne è conferma didascalica. Se qualsiasi organismo tende a combattere il virus inoculato, in Italia si opera affinché esso viva e possibilmente proliferi. Ancor più in un microcosmo come quello calcistico, dove non esistono colpevoli, al massimo mele marce residuali e odiosi delatori (tipo Carlo Petrini, lui sì isolato fino alla morte). Lodi imperiture, dunque, ad Antonio Conte, vittima indomita di una congiura “agghiacciante”. L’Eroe è tornato, ferito ma vivo, dal fronte. Lo si incensi come merita. Possibilmente anche di più.
Se siete accaniti fan del layout del FattoQuotidiano fatevi curare, ma potrete comunque leggere l'articolo qui.

martedì 27 novembre 2012

Sneijder, l'Inter e il mobbing

In casa Inter è scoppiato il caso Sneijder. L'hanno fatto scoppiare Branca, a mio modo di vedere il peggior dirigente sportivo della storia della Serie A, e Stramaccioni, a mio modo di vedere uno dei miglior allenatori della Serie A.

Il nodo della questione è sempre lo stesso: i soldi. Wesley Sneijder ha un triennale da sei milioni di euro netti a stagione, circa dodici milioni lordi da tirar fuori per le casse dell'Inter. Siccome c'è la crisi, l'Inter gli ha detto qualcosa tipo: "Caro Wes, hai tre anni di contratto. Da qui al 2015 dobbiamo dare a te diciotto milioni di euro e allo Stato diciotto milioni di euro. Facciamo che ti diamo diciotto milioni di euro, ma in quattro anni. Facciamo che ne prenderai quattro e mezzo a stagione e non più sei. Però resti con noi un anno in più. Ah, complimenti per Yolanthe: gran pezzo di gnocca". Robetta semplice, si spalma l'ingaggio e l'Inter risparmia tre milioni di euro l'anno tra tasse ed emolumenti. Tutto molto lineare e comune, se non fosse che Branca ha anche aggiunto: "Oh, per la cronaca: finché non firmi, non giochi. Nessun rancore?".

Magari qualcuno di voi pensa sia giusto, qualcun'altro che è sbagliato. Qualcuno ricorda che arriva da parecchi infortuni, qualcun'altro che è stato artefice del triplete e ha trascinato l'Olanda in finale del Mondiale. Altri magari dicono che visto il ruolo la sua collocazione tattica è un problema. Tutte belle cose, ma me ne potrebbe fregare di meno. Il punto è un altro.

Intervenuto in una trasmissione radiofonica, un tizio, non so quanto competente in materia di diritto del lavoro, ha detto che poteva configurarsi il reato di mobbing ai danni dell'olandese. Io non ho studiato diritto del lavoro, so per sommi capi cosa sia il mobbing e lo riconoscerei solo nelle forme più estreme. Non so se il caso di Sneijder con l'Inter sia davvero mobbing. A quel punto il presentatore della trasmissione radiofonica, che non esito a definire un coglione, ha detto: "Forse è mobbing, ma Sneijder percepisce milioni di euro l'anno. Lasciamo il mobbing agli operai che faticano ad arrivare a fine mese".

Ho un nuovo sogno. Sogno di avere un azienda, fondata da me, e portarla al successo. Successo mondiale, guadagnare palate e palate di soldi. Sogno di rintracciare quel presentatore e assumerlo. Sogno di fargli firmare un contratto da tredici milioni di euro l'anno e dargli un incarico che preveda tantissime responsabilità. Sogno di togliergli piano piano, ma in modo violento, tutte le responsabilità  nel giro di un mese. Sogno di farlo sedere per terra, lontano dagli altri. Di cagargli l'orecchio, pisciargli la giacca e impedirgli di cambiarsi o lavarsi. Sogno di farlo mangiare, da una ciotola, gli avanzi degli altri dipendenti. Sogno, quando verrà a lamentarsi, di fargli ascoltare le sue esatte parole e, mentre gli martello le gengive e gli tiro con violenza le basette che per mio preciso ordine deve tenere lunghe e folte, dirgli: "pensa, guadagni anche il doppio di Snejider". Sogno.

lunedì 26 novembre 2012

L'importanza del 16

Minuto 16 di Chelsea - Manchester City: tutto lo stadio si alza e applaude. Una standing ovation nel nulla più totale. In campo, infatti, la partita è di una noia quasi raccapricciante, una roba talmente brutta da far sembrare un big match anche Chievo - Siena.
La standing ovation è tutta per RDM, Roberto di Matteo, allenatore appena licenziato da Roman Abramovich dopo le sconfitte contro Manchester United, WBA e Juventus.

Il 16 è il numero che RDM ha indossato durante le sue stagioni al Chelsea. In Inghilterra si fa così. Nessun gesto violento o stupido dettato dalla rabbia per la decisione irrevocabile e prepotente di un bambino che rivendica la proprietà del proprio giocattolo, nessuno striscione di insulti e offese. Ci si alza e si applaude. Stop. Roba da brividi, da pelle d'oca per chi lo guarda e lo osserva, figurarsi per il destinatario della standing ovation.

Di Matteo ha portato a Chelsea una F.A. Cup e soprattutto una Champions League, il trofeo mai vinto dai blues, il trofeo aspettato, agognato e finalmente arrivato grazie a Roberto Di Matteo. Roman Abramovich si è dimenticato cosa è riuscito a fare RDM solo cinque mesi prima, Stamford Bridge no.

Al suo posto è stato chiamato Rafa Benitez, aspettato a Londra come si aspetta un lutto. I cori "you're not welcome here" sono i più gettonati. Nessuno voleva il cameriere ciccione sulla panchina della propria squadra, nessuno tranne Roman Abramovich, che ha ingaggiato l'ex di Liverpool e Inter perché facesse giocare Torres. Proprio El Nino è il motivo dell'esonero di Di Matteo. L'investimento del club è troppo importante e vedere 57 milioni di euro biondi seduti in panchina non è stato facile per il petroliere.

Quindi se la vostra ambizione è fare l'allenatore del Chelsea ricordate una cosa: non importa se subentrate a Marzo e acciuffate la qualificazione ai quarti di Champions League ribaltando un 3-1. Non importa se quella Champions poi la vincete in casa degli avversari, eliminando il Barcellona in semifinale vincendo al Camp Nou in 10. Non importa se siete terzi in classifica dopo aver fatto due mesi da capolista. Se non fate giocare il cocco del presidente che in 59 presenze fa ben 11 gol, se non gli affidate l'attacco, potete anche abbandonare il sogno.

Per la cronaca, Chelsea - Manchester City è finita 0-0. Secondo voi il cameriere ciccione a chi ha affidato l'attacco?

mercoledì 29 agosto 2012

Sciraeisì

Udinese fuori dalla Champions League. Eliminata ai preliminari, come l'anno scorso. Eliminata da una squadra in teoria inferiore, che gioca a un campionato in teoria inferiore. Eliminata giocando peggio, molto peggio.

Andrà a fare compagnia a Napoli, Inter e Lazio in Europa League, con quest'ultime due che devono ancora qualificarsi, ma avendo vinto l'andata 2-0 è più sì che no. L'Europa League è una buona vetrina per far giocare giovani talenti e per dare minuti nelle gambe a chi gioca meno in campionato: gli allenatori diranno così. In realtà pensano che l'Europa League sia una gran rottura di coglioni, un ostacolo per il campionato, qualcosa di cui si può fare tranquillamente a meno. Per questo fanno giocare semisconosciuti e pippe clamorose.

La Serie A manda tre squadre in Champions, di cui una ai preliminari. Poi ne manda almeno due in Europa League, forse tre, quando va bene quattro. Statisticamente è più probabile che una squadra italiana arrivi in fondo in EL che in CL. Ma in EL le squadre non arrivano in fondo, mai. Neanche per sbaglio. Questo per la politica di merda descritta sopra, diffusissima in Italia e inesistente in giro per l'Europa.

Volete riuscire a trattenere i Thiago Silva, Ibra, Lavezzi, Sanchez e via discorrendo? Volete che in Italia arrivino i Robben, i Van Persie, e via discorrendo? Smettete di pensare all'Europa League come a un asilo, e smettete di trattare gli under21 come merde. Insomma: sciraeisì

lunedì 16 luglio 2012

Belle idee

Il calcio italiano somiglia tanto al Superenalotto. Sembra che ho scritto una stronzata, ma ora vi spiego.

Quanto il montepremi del Superenalotto supera gli 80 milioni di euro, ci sono famiglie intere intente a giocare la schedina. Nei tabacchini spuntano come funghi i cartelli tramite i quali alcuni esperti del calcolo probabilistico della domenica cercano compari per fare sistemoni. Il martedì, il giovedì e il sabato gli sportelli abilitati sono presi d'assalto. Gente che butta stipendi e pensioni, sognando la vincita in grado di cambiare la vita a tutta la generazione. Nel frattempo il jackpot aumenta, arriva a 100, 110 milioni, e la gente che gioca aumenta, il tutto aiutato dalle pubblicità. Poi finalmente qualcuno vince, qualcun altro a parte lo Stato, e il montepremi crolla a 30, 40 milioni. A quel punto non gioca più nessuno, o quasi. Restano solo gli habituè, coloro i quali pensano che prima o poi quei numeri devono uscire. Però non c'è più la ressa, non c'è la fila chilometrica di persone che sognano il colpaccio. Perché 100 milioni è colpaccio, mica 40.

Nel calcio italiano succede la stessa cosa con l'Europa. Le squadre di alta fascia puntano ad entrare in Champions League, pensando che sia l'unica coppa Europea valga la pena giocare. I presidenti comprano giocatori e assumono allenatori con l'unico intento di andare in Champions. Alcune volte ci riescono, e allora comprano giocatori ancora più forti, spendono ancora di più per andare il più avanti possibile nella competizione. Neanche per vincerla, solo per arrivare il più avanti possibile. A volte basta solo superare la fase a gironi.
Altre volte la Champions non viene raggiunta, e allora si gioca l'Europa League. Ma l'Europa League non è mica la Champions League, mica ci si sporca le mani e i piedi per giocare in Europa League. Essa viene vista come un asilo, un posto dove far giocare i giovani. Perché farli giocare sempre è pericoloso, meglio farli giocare dove non possono fare danni.

Bella idea. Nessuna squadra italiana ha mai vinto l'Europa League, l'ultima squadra ad aver vinto la coppa Uefa è stato il Parma dei Tanzi nel 1999. Il calcio italiano perde appeal e questo, unito al fatto che non ha soldi, fa in modo che i giocatori non vengono a giocare in Italia. Piuttosto vanno in Cina, o in Qatar. Le italiane, salvo sporadiche eccezioni, non sono competitive neanche in Champions, dove ci si accontenta di andare avanti. Non si investe in strutture, in campi dall'allenamento, in stadi, in vivai. Non si punta sulla primavera, anzi. I giocatori della primavera vengono venduti per compare giocatori forti. Poi quelli diventano bravi, e allora si vendono altri primavera per riportarlo alla base. Un po' un gatto che si morde la coda

Il calcio italiano fa la fila per arrivare alla Champions, non ci arriva. Qualcuno fa notare che ci sarebbe anche l'Europa League, che fa gioire i tifosi ed è comunque un trofeo, ma il calcio italiano fa spallucce e compra un Gratta e Vinci.